Come una domenica mattina...
La domenica mattina non c’è bisogno della sveglia quando sai che devi pedalare al freddo. Puoi permetterti di prenderla con calma e rotolarti un po’ sotto il piumone per goderti il calduccio. È come se i tuoi ritmi si allineassero a quelli della natura. Non c’è bisogno di rincorrere le prime luci dell’alba, qui il segnale te lo dà la terra, quando i raggi del sole scaldano le strade, i prati e tutto ciò che nella notte ha accumulato umidità e freddo.
Apri la finestra e vedi la luce che taglia i residui di foschia, sai che qualche centinaio di metri più su a quest’ora si vede già il celo azzurro, ma che presto qui si pulirà. Sei ancora in mutande metti i piedi sul balcone per vedere che aria tira. Gelida, ci sono cinque gradi. Non è il freddo che ti raccontano i tuoi nonni, ma nemmeno così invitante. Ma a te questo non importa, pedalare al freddo ti piace.
Prepari la colazione con calma, serve energia per tenere la caldaia accesa nelle prossime quattro ore là fuori: pane, burro e marmellata, qualche biscotto, una fetta di torta se sei fortunato, caffè abbondante dalla moka che borbotta già in sottofondo (vuoi mettere la differenza?). Se vuoi esagerare, anche un po’ di formaggio e prosciutto crudo. Con quelli ti prepari due panini da avvolgere nella stagnola con una cura certosina, perché in questa stagione preferisci mettere sotto i denti qualcosa di saporito e non le solite barrette. I gel li prendi solo per abitudine, non sai mai. Acqua nella borraccia, che va bene anche temperatura ambiente, cucchiaino di sali e puoi andare a vestirsi.
Le mail sul telefono le guardi, oggi proprio no.
Su Whatsapp, intanto, ci sono già i tuoi amici che scrivono le solite cazzate del giro, c’è chi è carico a mille e chi, come sempre, chiede se si può ritardare di un quarto d’ora l’appuntamento.
Hai voglia di uscire per il tuo lungo viaggio, è tutta la settimana che ci pensi e accumuli nervoso sul lavoro. È il tuo rituale, non importa non importa se inizia l’inverno non ci vuoi rinunciare. Anche i preparativi sono più lenti e macchinosi, ma fanno parte del rituale.
I gambali, che una volta su due li infili al contrario e devi ricominciate da capo, l’intimo che è più spesso e devi farlo aderire bene perché se non lo senti tirare sulle spalle e sotto le ascelle, poi i pantaloncini invernali, spalmi con cura la crema, ne metti tanta che oggi si sta ore in bici. Poi le calze, quelle più spesse, è il momento del panico. Avrai lavato quelle che si abbinano a tutto il resto? Yes, oggi ti va di culo.
Poi la maglia, preferisci sempre la gabba a maniche corte e allora ripeti la scena di prima, questa volta con i manicotti. Stranamente li infili correttamente e ci metti un attimo. Nelle ore centrali, quando il sole batte più forte, ti piace toglierli per sentire il sole sulla pelle e l’aria fresca sfiorarti. Gabba dicevamo, messa.
E uno scaldacollo? Dove l’hai messo quello là che ti piace? Trovato. Ok, tutto a posto. Anzi, no, ti ricordi del GPS che è attaccato al cavo, ieri sera stranamente ti eri ricordato di metterlo in carica. Documenti, qualche soldo tutto nella tasca posteriore con la zip.
Passi in cucina a prendere i panini e la borraccia, infili il capellino, sistemi il casco che sia bello dritto rispetto alla visiera e ti ricordi di aver dimenticato in camera i guanti. Per fortuna non hai ancora messo le scarpe e con un balzo felino li vai a prendere. Occhiali? Presi, infilati sul casco. Il telefono? Ce l’hai. OK, puoi andare in garage.
Lì è quando ti ricordi che la giornata sarà bella fresca, senti un brivido lungo la schiena. Ma a te non importa, tiri dritto. Metti le scarpe le stringi bene ma non troppo che non blocchino la circolazione nelle dita. Indossi il gilet, appallottoli per bene la mantella e la infili in tasca e ci sei.
Ti muovi come un pinguino per raggiungere la bici, attacchi il GPS al suo supporto, dai una pompata alle ruote. Le vuoi sempre gonfie uguali quando parti, un pelo meno che d’estate con le strade che ci sono.
Senti il telefono in tasca che vibra. Via i guanti, li mordi tenendoli in bocca un attimo, sblocchi la schermata. Sempre i tuoi amici, Ci sei, o no? Arrivo, arrivo…
Rimetti il telefono in tasca, rimetti i guanti, spingi delicatamente la bici verso la uscita e senti quel rumore bellissimo delle ruote che fanno i primi giri della giornata. Ti emoziona sempre, anche se lo conosci a memoria, sei fatto così. Pregusti ciò che sta per succedere.
Spingi il portone del garage e sei fuori. La prima cosa che senti è il freddo al culo, il punto preciso dove i gambali finiscono e il pantaloncino rimane l’unica protezione, fino a dove scende l’intimo che hai accuratamente tirato più giù possibile: in quella fascia ti sembra di essere nudo.
Alzi lo sguardo e la foschia se n’è andata. Ogni tuo respiro lascia attorno una nuvola di vapore, come se avessi buttato fuori il fumo di un cubano. Per terra è umido, stai attento a non scivolare. Pochi passi e sei in strada. Sali sulla bici, agganci un pedale e ti dai una spinta. Il secondo lo manchi, ti succede sempre, inizia a girare come una trottola. Quando si ferma, ci riprovi e senti il rassicurante clack! OK, sei in sella.
Pochi metri e la tua faccia diventa una maschera di ghiaccio, ti colano gli occhi, la punta del naso diventa insensibile. Ma è quesitone di poco, ti abitui subito, il sangue comincia a pompare nelle estremità più esposte. Il freddo entra tutto dove può, ma ti sei vestito bene. I primi respiri più profondi li senti brucare nella trachea e l’aria gelida va giù, direttamente nei polmoni. Hai voglia di far girare subito le gambe per riscaldarti.
Stai pedalando, sei partito, i tuoi amici ti stanno aspettando, sarà una giornata bellissima. Pedalare al freddo è una figata.
Credits @alventomagazine “Rituale” di Davide Marta